Maurizio Ronco, storico capitano biancorosso, è ancora oggi un simbolo del club, uno dei giocatori più amati dalla tifoseria. Merito non solo le 250 presenze tra B e C con i bagaj ma soprattutto del suo modo di stare in campo. Centrocampista che dava tutto, che metteva sempre la gamba, che guidava con autorità il centrocampo e trascinava i compagni anche nei momenti più difficili. Punto di riferimento per tutti, allenatori e società. L'abbiamo incontrato per quattro chiacchiere di calcio tra passato e presente.
"Vestire la maglia del Monza per me è stato un grande onore. Ho sempre dato l'anima per la squadra, per i tifosi e per la città. Anche nei momenti peggiori non mollavo, ero un combattente. Quando sono diventato capitano per me è stato qualcosa di unico, il coronamento di un sogno. Credo di essere stato un leader positivo, tutti si consigliavano, da Mangi, a Fontana, a Carpanesi. Negli anni sono diventato un punto di riferimento e questo mi ha fatto davvero piacere".
Come vedi il Monza di Stroppa?
"Rispetto alla scorsa stagione sono davvero ottimista. Devo fare i complimenti a Stroppa e anche ai ragazzi per quello che stanno facendo. E' un gruppo unito, senza rivalità. Il Monza è forte quando tira fuori gli attributi, quando anche dal punto di vista caratteriale ci mette qualcosa in più. Tante volte hanno giocato con paura, con la palla che gli scottava tra i piedi. Gli errori ci sono stati, i giocatori non sono dei robot, lo sbaglio è plausibile. Sbagliando si impara e il Monza quest'anno ha imparato dai propri errori. Ora la squadra è diventata più consapevole dei propri mezzi. Il mister dal canto suo è bravo a far ruotare la rosa, tenendo alta la competitività e responsabilizzando tutto il gruppo".
Ce la farà a conquistare quella tanto inseguita Serie A?
"Per questo finale sono ottimista. Il Monza è solido, prende pochi gol e questo è un aspetto fondamentale. Ha qualità in tutti i reparti, con giocatori che la possono risolvere da un momento all'altro, come è accaduto per esempio contro il Crotone. Non bisogna più sbagliare gli scontri diretti, affrontarli senza paura, dimostrando di essere una squadra con gli attributi".
Domenica il derby con il Como. Che partita sarà?
"Per tutti noi è sempre una partita particolare, sentitissima. Bisogna vincere a tutti i costi. Primo perché è un derby, secondo perché è fondamentale per la classifica".
Cosa mancò invece nei tuoi anni per centrare la promozione?
"Ho giocato quello stramaledetto spareggio di Bologna. In quel momento della stagione Magni mi chiese sostituire Scaini che si era infortunato. Mancammo la Serie A nonostante esprimessimo un gran calcio. Fu un peccato anche se a distanza di anni qualche dubbio mi viene. Ho la sensazione che la federazione spinse di più altre piazze rispetto al Monza, come per esempio il Pescara che rispetto a noi aveva un bacino di tifosi più ampio. Allora la società non era forte come adesso. A pensare male spesso ci si azzecca".
Che giocatore eri?
"Io ero una mezz'ala con gli attributi, uno che non si fermava mai. Quella volta marcavano a uomo, io correvo così tanto da farlo stancare. Gli avversari mi dicevano . Ho fatto anche qualche gol, mi ricordo quelli contro il Catania e la Sambenedettese. Ho fatto anche tanti assist, andavo sulla fascia, scartavo l'uomo e la mettevo nel mezzo bella tesa. Gli attaccanti andavano a nozze. Sono stati anni bellissimi, era un calcio diverso, più vero. Ancora oggi i tifosi mi riconoscono in tribuna e mi vengono a salutare. Per me è un enorme piacere perché significa che qualcosa di buono ho fatto".
Quali i ricordi più belli della tua carriera?
"Il ricordo più bello è stato sicuramente il mio esordio con Magni. Il mio momento migliore l'ho invece vissuto con Mazzetti in panchina. Per me è stato quasi un padre. E' arrivato che ci davano quasi tutti per spacciati, lui fin dalla prima volta che entrò nello spogliatoio ci disse che ci saremmo salvati. Lo presero tutti per matto e invece ci salvammo facendo nel girone di ritorno 23 punti e chiudendo settimi in classifica. Se ci fossero state ancora un po' di giornate sono sicuro che non ci avrebbe fermato nessuno e avremmo conquistato la promozione. Quello fu il mio anno, giocai 38 partite, parecchie con la fascia di capitano al braccio. Nell' '85 lasciai la Brianza e mi trasferii a Palermo, quando tornai a Monza il presidente dell'epoca Giambelli mi diede una medaglia per la mia carriera in biancorosso. Sono ricordi che porto sempre con me"
C'è un nuovo Ronco in questo Monza?
"Per adesso non vedo un mio vero erede. Lo scorso anno Frattesi era un giocatore che poteva assomigliarmi per intensità e concretezza. Quest'anno quello che può prendere la responsabilità e dirigere il centrocampo è Valoti. Per me comunque sono tutti bravi, non escluderei nessuno. Mi piacciono molto anche Colpani, Sampirisi, Ciurria, Di Gregorio. Anche il vichingo Gytkjaer è uno con carattere, che vedi che ha fame".
Ti senti un simbolo di questo squadra?
"Mi fa molto piacere esserlo. I tifosi che mi vedono in tribuana mi dicono <scaldati Ronco che vai dentro> , io gli rispondo che non ho portato le scarpe. Nonostante siano passati tanti anni l'affetto nei mie confronti è incredibile. Io mi sento ancora parte del Monza, in casa non manco una partita".
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