Marlon è uno degli innesti voluti dalla società per rinforzare la difesa. Il difensore brasiliano, che in Italia aveva già vestito la maglia del Sassuolo, ha parlato a La Repubblica di questa sua nuova esperienza al Monza: "È un onore. È esattamente il progetto ambizioso che cercavo in questo momento della mia carriera e della mia vita. Con Stroppa ci conosciamo da poche settimane ma il legame è già profondo. Gli altri sono tutti bravi ragazzi. Essere nato e cresciuto in una favela mi ha insegnato a farmi in fretta un’idea di chi ho di fronte. Si sta creando una bella rosa, ci aiuta il fatto che praticamente tutti parlino italiano.

Il nostro obiettivo? Vogliamo con tutta la nostra forza restare in Serie A. Qui ogni partita è una lotta. L’atteggiamento è già quello giusto. Ora dobbiamo fare un salto di qualità, i risultati arriveranno. Galliani ci ha dobbiamo inseguire il decimo posto. Qui al centro sportivo è pieno di cartelli con scritto un messaggio chiaro: il Monza ha impiegato 110 anni ad arrivare in Serie A, non possiamo buttare via tutto in una stagione soltanto.

Berlusconi? L’ho conosciuto in occasione della prima di campionato contro il
Torino. Ci ha detto di ricordare sempre che chi ci crede combatte, supera gli ostacoli e vince. Anche questa massima è scritta allo stadio, sulla parete vicino allo spogliatoio".

Il classe '95 ha raccontato anche gli ultimi mesi in Ucraina con lo Shakhtar: "Quattro giorni dallo scoppio della guerra, poi noi stranieri dello Shakhtar abbiamo potuto lasciare l’hotel in cui vivevamo, a Kiev. Abbiamo abbandonato le nostre auto vicino alla stazione dei treni con le chiavi posate sugli pneumatici, di modo che le famiglie che avevano bisogno potessero prenderle. In pratica le abbiamo regalate. Faccio donazioni a sostegno della causa ucraina. Hanno anche creato un fondo per pagare gli stipendi agli impiegati del club, dai magazzinieri alle segretarie, a cui contribuisco. Dormivo tre ore a notte, ho avuto paura per la mia famiglia. Penso sia umano. E l’Ucraina non la dimentico. Un giorno tornerò, non so in che ruolo. Sono legatissimo alla società, alla gente, ai miei ex compagni.

I miei ex compagni? Mi raccontano dei palazzi bombardati. Degli anziani parenti che non vogliono lasciare le proprie case. Ma mi dicono anche che sono contenti di tornare a giocare, per restituire un po’ di normalità al loro popolo. Alcuni di loro all’inizio della guerra sono partiti volontari per il fronte, ma con loro il governo è stato chiaro: per lo spirito nazionale, ci servite vivi, dentro uno stadio a tirare calci al pallone".

Sezione: Focus / Data: Mar 30 agosto 2022 alle 15:08
Autore: Stefano Pontoni
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